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Michael Wachtler tiene in mano un reperto d'oro
 
 
 

Il più grande ritrovamento d’oro

L’oro si può ancora trovare. E in grandi quantità. Le seguenti storie raccontano di ritrovamenti di oro e di come sono avvenuti. Quali pensieri hanno sviluppato gli scopritori e perché proprio loro hanno dovuto trovarlo.

La mappa d’oro dimenticata – Le leggi della fortuna

Michael Wachtler, i gemelli Mario e Lino Pallaoro, Federico Morelli, Maurizio Petti e Georg Kandutsch riuscirono sul Monte Rosa nella più grande scoperta d’oro delle Alpi. Furono recuperati circa 30 kg d’oro. Il punto di partenza fu una mappa dimenticata di uno scienziato svizzero. Egli raccontava di un ritrovamento di 40 kg d’oro puro nel 1908 e di un altro nello stesso luogo di 28 kg.

3 persone che tengono in mano un reperto d'oro Una vecchia pietra ricoperta d'oro Scoperta dell'oro
Estratto dal libro: „Cuore d’oro“
di Michael Wachtler
Il richiamo dell’oro

L’estrazione dell’oro nelle valli della Valle d’Aosta deve essere molto antica. In un luogo all’ingresso della valle, chiamato Bessa, gli antichi romani portarono alla luce l’incredibile quantità di 200.000 chilogrammi d’oro. Il famoso naturalista romano Plinio lo calcolò. Allora, secondo regolamento, cinquemila schiavi potevano lavorare per i padroni romani.


Soprattutto nella Val d’Ayas, a metà del XVIII secolo, si scoprirono alcune vecchie gallerie. Una di esse, a Bouchej, conteneva innumerevoli esemplari d’oro su cristallo di rocca, tanto che passò alla storia. Tuttavia, i miti furono sempre in primo piano. Raccontano di un minatore che una volta trovò una pepita d’oro speciale. Sicuro che sarebbe stato perquisito, si procurò una profonda ferita alla coscia. Vi nascose l’oro, nonostante il dolore terribile.
Nel 1898 a Ginevra fu fondata la società svizzera „Société des Mines d’Or de l’Evançon“. Essa promise agli azionisti creduloni che sul monte Ciamousira, a est di Brusson, vicino alla frazione La Croix, si trovava oro in abbondanza. „SPERANZA“, la „SPERANZA“, chiamarono un nuovo tratto di galleria che si diramava dalla vena Fenillaz nel mezzo della montagna. Cinquecento minatori scavarono sette gallerie di accesso per la società inglese.

La mappa del tesoro del Dr. Reinhold

Subito dopo, il professore svizzero di mineralogia Carl Schmidt incaricò il giovane studente olandese Thomas Reinhold di una dissertazione sui „Filoni di pirite aurifera di Brusson in Piemonte“. Reinhold lo fece con meticolosità e concluse l’opera l’8 marzo 1916. Scrisse: „Gli arricchimenti auriferi qui descritti possono essere molto considerevoli … Così, circa al centro della miniera… si trovarono 40 kg d’oro. Un vicino nido di minerale di 244 kg conteneva 28 kg d’oro.“ E come se non bastasse, lo studente disegnò su una mappa, come fosse una mappa del tesoro, i principali ritrovamenti d’oro del passato.


Concludemmo: in queste gallerie dovevano trovarsi almeno altri 300 kg d’oro. E intorno al 1900 non esistevano ancora i rilevatori. Noi – i gemelli Mario e Lino Pallaoro, Federico Morelli della provincia di Trento, Georg Kandutsch e Michael Wachtler – partimmo. Ma senza molte speranze. L’oro in tali quantità non può certo giacere semplicemente in attesa di essere raccolto! Portammo con noi il libriccino con le annotazioni dei ritrovamenti. Accendemmo le lampade a carburo, attraversammo il cancello arrugginito, avanzammo fino al ginocchio nell’acqua fredda. In una galleria laterale sentimmo i rumori dell’ultimo cercatore d’oro, Florindo Bitossi. Da decenni estraeva roccia con macchine antiquate. Qualche briciola d’oro era talvolta la sua ricompensa. Il suo corpo era emaciato come la roccia. Nel 2006 avrebbe concluso la sua vita.
Poi ci trovammo nel punto dove, nel lontano 1908, erano stati scoperti incredibili 68 kg di oro puro. Nella mente ci immaginammo la quantità, la gioia dei minatori, che tuttavia non ricevettero un centesimo in più di salario. E a cui, in fin dei conti, non importava come fosse arrivato lì quell’oro o come si fosse formato.
Tirammo fuori dai nostri zaini un metal detector di ultima generazione. Migliaia di cristalli di rocca scintillanti di tutte le dimensioni giacevano ammucchiati. All’inizio li osservammo, poi non più. Il rilevatore segnalò. Prima nella discarica. Probabilmente i minatori precedenti avevano fatto saltare un pezzo di roccia senza setacciare bene il materiale. Pepita dopo pepita uscì fuori. Come opere d’arte della natura.
Lavorammo come in trance e nel freddo e nel buio non percepimmo il passare del tempo. Tardi la sera cercammo un alloggio a Brusson. Raccontammo molto davanti a birra e vino. La mattina dopo eravamo di nuovo nella miniera della „Speranza“. I blocchi diventavano sempre più grandi e ovunque brillava oro.

Una fine

„Tacere o parlare“ era la questione che più ci assillava. Perché: „L’oro non appartiene mai a chi lo trova“. Decidemmo di raccontare. Esponemmo i ritrovamenti ai Mineralientage di Monaco e migliaia di persone si stupirono che una cosa simile fosse possibile ai nostri giorni. Il nostro istinto di possesso non era particolarmente sviluppato. Perché mai: solo per seppellire l’oro nel nostro giardino, avremmo potuto lasciarlo in miniera. La polizia e la procura si interessarono. L’oro fu misurato, pesato e stimato. Si dice che in totale fossero 30 kg. Ognuno prese la propria parte. I musei della Valle d’Aosta, del Piemonte e di Milano. Qualcosa rimase sempre con noi: la storia! A parte tutto: lo facemmo davvero per il denaro? O per l’avventura e per la consapevolezza di essere uomini liberi.


Nel 2015 aprirono poi, con grande audacia architettonica, il „Museo dell’Oro“, proprio nel luogo delle nostre scoperte. Raccontarono la storia dell’antica gloriosa attività mineraria. Sigillarono le rocce affinché nessuno trovasse più nemmeno un granello d’oro. Ma noi non avevamo alcuna intenzione di farlo. Eravamo attratti da nuove rive e scoperte. Con la consapevolezza di aver trovato qualcosa di grande.

Caccia al tesoro nella giungla del Venezuela – Nel mondo dimenticato

Dove si trovano gli ultimi angoli bianchi di questa Terra? Dove si possono ancora scoprire tesori nascosti? Nella giungla amazzonica, nel triangolo tra Venezuela, Brasile e Guyana, si ergono altipiani inospitali e scoscesi. Lì compaiono cristalli d’oro grandi un centimetro insieme a diamanti. La regione è così selvaggia che nessuna delle grandi compagnie minerarie è riuscita a stabilirvisi. Questo è il regno dei “garimpeiros”, come viene chiamata la moltitudine di cercatori d’oro illegali del Sud America. La loro cattiva fama li precede ovunque.


Sono ritenuti responsabili della distruzione della natura attraverso il mercurio, della deforestazione e delle continue aggressioni agli indigeni. Eppure portano alla luce circa 10–15 tonnellate d’oro all’anno, oltre a migliaia di carati di diamanti pregiati. Ci parlarono dello Zapata-Gold: cristalli d’oro quasi puri nelle più straordinarie forme. In aggiunta, cristalli scheletrici d’oro simili a teschi umani, oro cresciuto come felci preistoriche, cristalli misti d’oro arricchiti con palladio che ricordavano geroglifici egizi. Ma ci avvertirono: ancora oggi qui si può facilmente perdere la vita.
“All’aeroporto di Caracas ci attendeva El Trompo Rojo.” Aveva trascorso la sua vita come ingegnere nell’industria petrolifera e non ne poteva più. Quello che faceva ora era molto più interessante. Alcuni americani lo avevano chiamato “Jungle Buyer” – l’acquirente della giungla – perché possedeva i più perfetti cristalli d’oro e diamanti. In realtà l’uomo si chiamava Alejandro Stern, ma in Venezuela tutti lo conoscevano solo come El Trompo Rojo. Così veniva chiamato il più raro di tutti i diamanti trovati qui: il diamante rosso sangue. Un solo carato valeva quasi un milione di euro. Dopo un viaggio interminabile lasciammo la civiltà alle spalle. Ben presto emersero i primi altipiani, chiamati Tepuis, come mostri preistorici. Su di essi si diceva vivessero animali e piante sconosciuti, oltre a oro in abbondanza. Persino dinosauri avrebbero potuto sopravvivere, come descritto dall’inventore di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle, nel suo romanzo Il mondo perduto. Il grande scrittore non aveva mai visitato la zona, chiamata da tutti Gran Sabana, ma si era lasciato ispirare dai racconti degli avventurieri. Essi narravano di cannibali affamati, uomini senza testa, diamanti grandi come pugni e persino di dinosauri divoratori visti coi loro occhi. Così, già nel 1912, creò il precursore di tutti i romanzi di Jurassic Park, e non avrebbe potuto scegliere luogo migliore.

Vita da cercatore d’oro nella giungla
Il primo cercatore che incontrammo nei pressi di un villaggio dal nome eloquente El Dorado era un vecchio emigrato svizzero, Bruno Reichlin. “I banditi mi hanno sparato cinque colpi nello stomaco. Sono sopravvissuto come per miracolo,” raccontò come fosse la cosa più normale del mondo. Proseguimmo verso sud, vicino a Santa Elena de Uairén. Lì incontrammo un altro minero, che da solo setacciava un meandro del fiume. “Vivo da anni con cinque proiettili nello stomaco,” disse, quando gli chiesi delle cicatrici. “È usanza vivere così qui?” chiesi a Trompo Rojo. “No,” mi rassicurò, “basta essere prudenti e imprevedibili. Mai dire quando arrivi, mai quando parti, e soprattutto non bere con i cercatori dopo aver comprato da loro.” Raccontò come, a volte, fosse stato costretto a sparare lui stesso.
Con una vecchia e traballante Cessna sorvolammo la giungla e atterrammo infine su un campo sconnesso, tanto che temetti che l’aereo potesse capovolgersi. Il villaggio si chiamava Parkupi. Da lì proseguimmo per ore con una barca di legno dotata di un motore da 200 cavalli, ancora più in profondità nella foresta. Il “Jungle Buyer” ci raccontò di sé, di come si diventa commercianti di oro e diamanti. Con noi viaggiava anche il suo socio Arnoldo, portando con sé una pesante borsa piena di migliaia di euro. Entrambi portavano pistole alla cintura, come se le mani fossero fuse con l’impugnatura.
Ovunque ci venivano offerti oro e diamanti. Imparai quante forme e colori potessero assumere. Mi sorprese la rapidità con cui l’oro legato al mercurio veniva “purificato” con il fuoco, mentre nessuno sembrava preoccuparsi dei fumi tossici. Né delle acque stagnanti infestate dalla malaria.
“Amo i diamanti molto più dell’oro!” mi riportò bruscamente Alejandro alla realtà. “Ognuno è una sorpresa.” Si vedeva la difficoltà con cui li valutava: ogni sfumatura di colore significava un prezzo diverso, da 120 euro a un milione al carato. Rimasi sorpreso dai tanti tedeschi che qui, lontano dal mondo, cercavano fortuna. Molti erano fuggiti da prigioni, altri dalla vita stressante in Europa.

In uno dei pochi villaggi più grandi, Los Caribes, incontrammo Hans Heiduck con la sua Susanne. Aveva costruito la sua “Villa Tranquila” presso una cascata romantica. Alcuni Rockefeller lo avevano già visitato, disse con orgoglio. Ora lo aiutavano altri due tedeschi, Alfred e Klaus. Speravano nel grande colpo: chili d’oro o diamanti da dieci carati in una sola settimana. Ma anche senza, la vita scorreva lenta e felice. Capì subito che la ricchezza raramente si trova dove si estrae l’oro. Eppure mai altrove avevo incontrato sogni e speranze più grandi.

Visitammo un garimpeiro dopo l’altro. Percorrevamo strade così dissestate che mi stupivo come il nostro autista Kendall riuscisse ad andare avanti. A volte controllava con il machete la solidità dei tronchi che fungevano da ponte, altre scavava per liberare il fuoristrada dal fango. Poi le barche che sobbalzavano selvaggiamente ci scuotevano le ossa. Dopo giorni tornammo infine a Santa Elena, al confine con il Brasile, dove incontrammo un altro tedesco: Frank Stöber. Si meravigliava del nostro coraggio di essere penetrati così a fondo nell’oscurità dorata. Lo ammirammo: dopo il carcere della DDR per tentata fuga, era riuscito a reinventarsi come cercatore d’oro. Aveva già pubblicato un libro di “avventure erotiche nella giungla da cercatore d’oro” e stava scrivendo un altro sulle più grandi scoperte di diamanti in questo mondo dimenticato. Lo rassicurai: chi entra in questo mondo vive da vicino la fascinazione delle pietre preziose. Dove, se non qui, un uomo qualunque può, con una grande scoperta, cambiare la propria vita da un giorno all’altro?